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IL SANTO DEL GIORNO

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Messaggio  Attilio Citrino Mer 30 Mag - 22:25

Santo del giorno 31 maggio


Santa Maria della Visitazione


Subito dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, la Vergine Santa si mette in viaggio per assistere la cugina Elisabetta nella sua inattesa e avanzata gravidanza, in tarda età. Ed è bello chiudere il mese a lei dedicato, contemplando l’icona di Maria che “porta in visita” il suo Gesù: “La Madre incontra la madre e il Bambino incontra il bambino”, dice la liturgia.
Un incontro tutto pervaso da fremiti e sussulti di gioia. È bello anche chiudere il mese mariano ripetendo assieme alla Vergine Santa il canto del Magnificat sottolineando la bellezza delle parole da lei scelte: tutte espressioni e immagini tratte dalla Scrittura, che però acquistano una particolare “densità” per il fatto che le stesse parole stanno “prendendo carne” nel suo grembo.
Per dire, ad esempio: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”, Maria si serve della formula di un antico profeta, ma essa esprime anche l’esatto suono e significato del nome “Gesù”. E se ella dice: “Grandi cose ha fatto in me Colui che è potente”, l’espressione (che è tradizionale) non si riferisce più soltanto agli interventi salvifici di Dio nel grembo della storia, ma alla Sua presenza fisica nel grembo della mamma. Anche quando Elisabetta saluta Maria avviene un notevole cambiamento.
La vecchia cugina, infatti, le dice: “Benedetta te perché hai creduto”, e dovrebbe subito completare la formula aggiungendo, secondo l’uso: “E Benedetto il tuo Dio”. Invece dice con inattesa tenerezza: “E benedetto il Frutto del tuo grembo”. Insomma, la festa della Visitazione annuncia e celebra l’esistenza di un mondo dove anche le parole e le preghiere diventano nuove in forza della presenza umana del Figlio di Dio.

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S. Petronilla martire romana (I sec.);
S. Vitale di Assisi, eremita (1295-1370).
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Messaggio  Attilio Citrino Gio 31 Mag - 21:36

Santo del giorno 01 giugno


S. Giustino


Nacque in Palestina, all’inizio del secondo secolo, da famiglia di origini latine.
Da giovane s’era appassionato allo studio della filosofia greca, ma s’era interessato anche ai profeti ebraici. Il duplice incontro lo condusse a Cristo, compimento di ogni ricerca e incarnazione piena della Verità. Ricevette il battesimo nel 130 e subito decise di recarsi a Roma e di farsi “missionario” tra i filosofi e gli intellettuali. A tale scopo fondò una sua scuola di filosofia e scrisse un’Apologia in difesa dei cristiani che venivano accusati di ateismo e condannati a morte come sovvertitori dello Stato romano e del suo culto.
I cristiani – diceva Giustino – erano condannati senza essere conosciuti, soltanto in base a pregiudizi e dicerie. Citando molti autori classici e ricorrendo anche ai miti omerici, cerca di accostarli a testi della Sacra Scrittura per mostrare che la sapienza degli antichi viene non solo accolta e onorata nel cristianesimo, ma viene anche compiuta e realizzata. Scrisse anche un Dialogo, indirizzato agli ebrei per mostrare in Cristo l’adempimento delle attese messianiche. In ambedue i testi l’itinerario intellettuale di Giustino era simile: mostrare “la preparazione di Cristo” contenuta nelle relative “scritture” (dei filosofi per i pagani e dei profeti per i giudei).
Fu così l’iniziatore della “filosofia cristiana”, quella che sa riconoscere alla ragione tutto il suo valore e la sua funzione, ma sa anche aprirsi alla luce della Rivelazione.
Dalle sue opere abbiamo molte e interessanti notizie circa la vita delle prime comunità cristiane e le loro celebrazioni liturgiche.
Morì martire nell’anno 165, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, e la sua “passione” è raccontata in un testo di rara bellezza e intensità.

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S. Giovanni Battista Scalabrini (1830-1905);
S. Annibale di Francia (1851-1927).

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Messaggio  Attilio Citrino Ven 1 Giu - 22:28

S. Blandina


Appartiene al gruppo dei cristiani martirizzati a Lione nel II secolo. Tra tutti, la giovane Blandina è la figura che maggiormente commuove per il suo coraggio.
La vicenda è documentata da una Lettera scritta da testimoni oculari e inviata ai cristiani dell’Asia; lettera che Eusebio di Cesarea inserì integralmente nella sua Historia Ecclesiastica e che Ernesto Renan definì: “Uno dei documenti più straordinari di qualsiasi letteratura”.
Blandina era una povera schiava, tanto che molti dubitavano della sua perseveranza. Stupì invece tutti con la sua fierezza, tanto che su di lei i persecutori si accanirono con ripetuta ferocia. Non essendo cittadina romana, venne subito data in pasto alle fiere, nel circo, davanti a migliaia di spettatori eccitati.
Fu appesa a un palo a forma di croce, ma le bestie non le si avvicinarono; poi fu stesa su una graticola ardente. Ma sembrava che niente riuscisse a distruggere quella giovane vita. Rimasta sola nell’arena, l’avvolsero in una rete e la esposero alla furia di un toro inferocito. S’era fatto un grande silenzio, e gli stessi pagani si dicevano stupiti di non aver mai visto una donna patire tanto e con tanto coraggio. Alla fine dovettero finirla con la spada. Di lei nella Lettera si dice: «Per mezzo di Blandina Cristo ci ha mostrato che quello che sembra, presso gli uomini, di poco prezzo e senza bellezza, merita, presso Dio, una grande gloria, a causa di un amore per lui, che si mostra nella forza e non si glorifica nell'apparenza… Blandina fu ripiena di una tale forza che stancò i carnefici che si succedettero presso di lei dal mattino alla sera… Tutto il suo corpo era lacerato e tormentato… Ma la martire ritrovava sempre le forze per confessare la sua fede.
Era per lei un conforto, un riposo e un ristoro il dire: "Io sono cristiana, e presso di noi non c'è niente di male"».
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S. Marcellino e Pietro (III sec.);
S. Eugenio I (VII sec.).

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Messaggio  Attilio Citrino Sab 2 Giu - 21:58

Santo del giorno Domenica 03 giugno
All'origine c'è un legame d'amore

Santissima Trinità, a cura di Ermes Ronchi

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Sulla teologia della Trinità il Vangelo non offre formule o teorie, ma il racconto del monte anonimo di Galilea e dell'ultima missione affidata da Gesù agli apostoli.
Tra i quali però alcuni ancora dubitavano. E la reazione di Gesù alla difficoltà, alla fatica dei suoi è bellissima: non li rimprovera, non li riprende, ma, letteralmente, si fa vicino. Dice Matteo: «Gesù avvicinatosi a loro…». Ancora non è stanco di avvicinarsi, di farsi incontro. Eternamente incamminato verso di me, bussa ancora alla mia porta. E affida anche a me, nonostante le mie incertezze, il Vangelo.

Battezzate ogni creatura nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito. I nomi che Gesù sceglie per mostrare il volto di Dio, sono nomi che vibrano d'affetto, di famiglia, di legami. Padre e Figlio, sono nomi che l'uno senza l'altro non esistono: figlio non c'è senza padre, né il padre è tale se non ha figli. Per dire Dio, Gesù scegli nomi che abbracciano, che si abbracciano, che vivono l'uno dell'altro.

Il terzo nome, Spirito Santo, significa alito, respiro, anima. Dice che la vita, ogni vita, respira pienamente quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata.

Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non è in se stesso solitudine, l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore. Alla sorgente di tutto, è posta la relazione. In principio a tutto, il legame. E qui scopro la sapienza del vivere, intuisco come il dogma della Trinità mi riguardi, sia parte di me, elemento costitutivo di Adamo, creato da principio «a sua immagine e somiglianza». In questa frase, decisiva per ogni antropologia cristiana, mi è rivelato che Adamo non è creato semplicemente ad immagine di Dio, Creatore o Verbo o Spirito, ma più esattamente, e più profondamente, a somiglianza della Trinità. A immagine di un Padre che è la fonte della vita, a immagine di un Figlio che mi innamora ancora, di uno Spirito che accende di comunione tutte le nostre solitudini.

La natura ultima dell'uomo è di essere legame d'amore. Io sono uomo quanto più sono simile all'amore.

Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli... Il termine battezzare nella sua radice significa immergere. Immergete, dice Gesù, ogni creatura dentro l'oceano dell'amore di Dio, rendetela consapevole che in esso siamo, ci muoviamo, respiriamo.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Non dimentichiamo mai questa frase, non lasciamola dissolversi, impolverarsi. Sono con voi, senza condizioni, dentro le vostre solitudini, dentro gli abbandoni e le cadute, dentro la morte. Nei giorni in cui credi e in quelli in cui dubiti; quando ti sfiora la morte, quando ti pare di volare. Nulla, mai, ti separerà dall'amore.

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Messaggio  Attilio Citrino Lun 4 Giu - 21:35

Santo del giorno 05 giugno


S. Bonifacio


L’evangelizzazione della Germania fu opera del monachesimo anglosassone. L’iniziatore fu il monaco Winfrido che ne chiese il permesso direttamente al papa ed ebbe da lui il potere di agire in qualità di legato pontificio. Ricevette dal papa anche un nome nuovo (Bonifacio) col quale sarebbe passato alla storia. Il suo stile missionario era travolgente e, a volte, perfino impetuoso. Clamorosa fu la sua decisione di fare abbattere in Turingia la quercia sacra al dio Thor.
La tradizione addolcisce l’episodio raccontando che si era in tempo di Natale e sotto quella quercia si stava per sacrificare un bambino. Bonifacio liberò la piccola creatura e, quando l'albero gigantesco cadde, ecco che ai suoi piedi scopersero un piccolo abete che tentava di crescere. Così il Santo affidò l'alberello sempreverde, assieme al bimbo salvato, ai suoi cristiani, come simbolo della nuova vita. Il legno della quercia poi servì alla costruzione della prima chiesa. A tal episodio sarebbe collegata la tradizione dell’albero di Natale.
L’opera di Bonifacio si estese fino alla Baviera ed egli la consolidò fondando molti monasteri maschili e femminili e organizzando la gerarchia della chiesa tedesca. In tarda età si ritirò nel monastero di Fulda da lui fondato, che era divenuto un centro d’irradiazione spirituale e culturale. Ma la passione missionaria non lo lasciava. Ormai ottantenne volle discendere lungo il Reno con una piccola flotta di barche per evangelizzare la Frisia. Durante il viaggio cadde vittima di una banda di predoni che lo uccise per impadronirsi di alcune casse di “tesori”, ma erano soltanto libri che Bonifacio portava sempre con sé. Per recuperarne il corpo, i Franchi organizzarono una spedizione.
Fu sepolto a Fulda, che è rimasto il centro ideale della Chiesa tedesca.
È patrono della Germania.

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S. Franco eremita (XII sec.);
S. Igor di Russia (XII sec.).
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Messaggio  Attilio Citrino Mar 5 Giu - 21:59

Santo del giorno 06 giugno


S. Norberto


È il fondatore dei “Premonstratensi”, un antico Ordine monastico (il cui nome viene dalla valle francese di Prémontré, dove l’Ordine ebbe il suo inizio) che, agli inizi del sec. XII, anticipò, a suo modo, lo stile di vita mendicante.
La storia racconta che Norberto, un nobile cadetto, aveva sì intrapreso la carriera ecclesiastica, ma considerandola e programmandola come fonte di prestigio e di lusso. Poi, durante una cavalcata nel bosco, un fulmine l’aveva fatto stramazzare a terra, ed egli aveva colto quel segno come un avvertimento divino a cambiar vita. Gli sembrò che Dio avesse voluto dirgli: «Abbandona la via del male, e fa’ il bene».
Trascorse tre anni in penitenza e preghiera, poi si fece ordinare sacerdote, distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si dedicò alla predicazione itinerante nelle campagne francesi, ma anche in Belgio e in Germania. La sua fama divenne così grande che fu obbligato a ricevere controvoglia quelle cariche che un tempo aveva desiderato (fu, infatti, nominato vescovo di Magdeburgo e cancelliere dell’Impero per l’Italia e la Polonia).
Riuscì tuttavia a mantenere un tenore di vita povero e umile, dedicandosi a pacificare le regioni a lui affidate. Lo chiamarono per questo “angelo della pace”. San Norberto è raffigurato di solito con un ostensorio in mano, perché difese spesso con tenacia la realtà della Presenza Eucaristica, contro gli eretici di allora.
La Boemia lo ha scelto come suo patrono.
A motivo di qualche suo miracolo, è invocato anche come patrono delle partorienti.

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S. Paolina,martire;
S. Claudio (VII-VIII sec.);
S. Gilberto (XII sec.);
S. Marcellino Champagnat (1789-1840).
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Messaggio  Attilio Citrino Ven 8 Giu - 21:56

Santo del giorno 08 giugno


S. Efrem Siro



Non è un santo molto noto, ma merita d’essere ricordato perché ha saputo unire assieme teologia, poesia e musica. Per questo l’hanno definito “L’arpa dello Spirito Santo”.
Nacque in Mesopotamia al tempo di Costantino, e visse a Edessa, in Siria dedicandosi all’insegnamento e ad arricchire la liturgia cristiana componendo inni e preghiere su tutti i misteri cristiani. Particolarmente belli sono anche i suoi Inni sul Paradiso. Un altro titolo che Efrem ha davvero meritato è quello di “poeta della Vergine” alla quale ha dedicato le sue più belle composizioni.
Concluse la sua vita nella sofferenza a causa di una grave carestia durante la quale aveva mostrato come l’arte sapesse farsi anche lavoro e carità. Morì a Edessa verso l’anno 373, vittima del contagio contratto curando gli ammalati di peste.
Prima di concludere il suo breve profilo, tuttavia, è necessario far gustare almeno qualcosa della sua arte impregnata di bellezza e di fede. Lo facciamo riportando lo stesso brano natalizio scelto da Benedetto XVI durante una “catechesi” dedicata a s. Efrem Siro (28 nov 2007):
«Il Signore venne in Maria / per farsi servo. / Il Verbo venne in lei / per tacere nel suo seno. / Il fulmine venne in lei / per non fare rumore alcuno. / Il Pastore venne in lei / ed ecco l’Agnello nato, / che sommessamente piange. / Poiché il seno di Maria / ha capovolto i ruoli: / Colui che creò tutte le cose / ne è entrato in possesso, ma povero. / L’Altissimo venne in lei / ma vi entrò umile. / Lo splendore venne in lei, / ma vestito con poveri panni. / Colui che elargisce tutte le cose / conobbe la fame. / Colui che abbevera tutti / conobbe la sete. / Nudo e spoglio uscì da lei, / Egli che riveste di bellezza tutte le cose» (Inno sulla Natività 11,6-Cool.

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S. Columba, abate (521-597);
Beata Anna Maria Taigi (1769-1837).

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Messaggio  Attilio Citrino Sab 9 Giu - 20:28

Santo del giorno 10 giugno


È tutta l'umanità la «carne» di Dio
Santissimo Sangue e Corpo di Cristo, a cura di Ermes Ronchi

Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Prendete, questo è il mio corpo. La parola iniziale è precisa e nitida come un ordine: prendete. Incalzante come una dichiarazione: nelle mani, nella bocca, nell'intimo tuo voglio stare, come pane.
Qui è il miracolo, il batticuore, lo scopo: prendete. Gesù non chiede ai discepoli di adorare, contemplare, pregare quel Pane, ma chiede come prima cosa di tendere le mani, di prendere, stringere, fare proprio il suo corpo che, come il pane che mangio, si fa cellula del mio corpo, respiro, gesto, pensiero. Si trasforma in me e mi trasforma a sua somiglianza.
In quella invocazione «prendete» si esprime tutto il bisogno di Gesù Cristo di entrare in una comunione senza ostacoli, senza paure, senza secondi fini. Dio in me: il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo esprime con una formula felice san Leone Magno: la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo.
E allora capiamo che Dio non è venuto nel mondo con il solo obiettivo di togliere i nostri peccati, visione riduttiva, sia di Dio che dell'uomo.
Il suo progetto è molto più grande, più alto, più potente: portare cielo nella terra, Dio nell'uomo, vita immensa in questa vita piccola. Molto più del perdono dei peccati è venuto a dare: è venuto a dare se stesso.
Come uno sposo che si dà alla sposa. Siamo abituati a pensare Dio come Padre, portatore di quell'amore che ci è necessario per nascere; ma Dio è anche madre, che nutre di sé, del suo corpo i suoi figli. Ed è anche sposo, amore libero che cerca corrispondenza, che ci rende suoi partners, simili a lui.
Dice Gesù nel vangelo: i miei discepoli non digiunano finché lo sposo è con loro. E l'incontro con lui è come per gli amanti del Cantico: dono e giubilo, intensità e tenerezza, fecondità e fedeltà.
Nel suo corpo Gesù ci da tutta la sua storia, di come amava, come piangeva, come gioiva, ciò che lo univa agli altri: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore.
Prendete questo corpo, vuol dire: fate vostro questo mio modo di stare nel mondo, anche voi braccia aperte inviate alla terra.
Perché il corpo di Cristo non sta solo nell'Eucaristia, Dio si è vestito d'umanità, al punto che l'umanità intera è la carne di Dio: quello che avete fatto a uno di questi l'avete fatto a me. Il Corpo di Cristo è sull'altare dell'Eucaristia, il corpo di Cristo è sull'altare del fratello, dei poveri, piccoli, forestieri, ammalati, anziani, disabili, le persone sole, quelle colpite dal terremoto di questi giorni.
Che possiamo tutti diventare ciò che riceviamo: Corpo di Cristo. E sarà l'inizio di un umile e magnifico viaggio verso lo Sposo si è fatto sposo dell'ultimo fratello.
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Messaggio  Attilio Citrino Lun 11 Giu - 22:13

Santo del giorno 12 giugno


B. Maria Candida dell'Eucaristia


Il nome tutto intriso di purezza, scelto quando entrò nel monastero carmelitano di Ragusa, ci dice già l’orientamento spirituale di questa ragazza (calabrese di origine, ma vissuta a Palermo): un amore ardente all’Eucaristia.
Fino a 35 anni era stata costretta a vivere in famiglia, perché le dicevano che c’era assoluto bisogno di lei. Poi aveva rotto gli indugi (superando l’aspra ostilità dei fratelli che non vollero più rivederla) per seguire l’attrazione mistica che Gesù esercitava sul suo cuore. In clausura ebbe appena il tempo di ricevere una rapida formazione che la elessero priora, tanto bisogno c’era di una guida che fosse assieme dolce ed energica. Ciò che ella aveva appreso già nella sua lunga missione familiare.
Nell’ufficio di madre priora (sempre nuovamente rieletta) trascorse quasi tutta la vita. sempre orientata ai suoi due grandi amori: l’Eucaristia e la Vergine Santa. Diceva: «Io vorrei essere come Maria, essere Maria per Gesù, prendere il posto della mamma sua. Nelle mie comunioni Maria l’ho sempre presente. Dalle sue mani io voglio ricevere Gesù. Lei deve farmi diventare una cosa sola con Lui. Io non posso dividere Maria da Gesù!... Nei miei rapporti con Gesù Ostia, mi studierò di essere come Maria per rispetto, per adorazione, per tenerezza, per amore. Io non dividerò mai Maria da Gesù».
E riceveva sempre il Santissimo Sacramento con questa totale persuasione: «Nel nascere Gesù si fece nostro, nell’Eucaristia si rende mio». Morì nella festa della Santissima Trinità del 1949, spirando come aveva desiderato quel giorno in cui in un suo quadernetto aveva annotato: «Io voglio alla sera della mia vita mormorare in piena pace e gioia e calma: ho fatto tutto quello che voleva il mio Dio».

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Altri Santi del giorno

S. Basilide, martire;
S. Onofrio (IV-V sec.);
S. Gaspare Luigi Bertoni (1777-1853).



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Messaggio  Attilio Citrino Gio 14 Giu - 21:38

SACRO CUORE DI GESÙ
"Fa' ch'io t'ami sempre più"

Ci sono dei santi – come san Giovanni Eudes (1601-1680), san Claude de la Colombière (1641-1682) e santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) – che hanno dato la vita perché questa festa venisse accolta e celebrata in tutta la Chiesa convinti della necessità urgente di riaccendere nel mondo il fuoco dell’amore divino. La decisione fu presa da papa Pio IX nel 1856, e la solennità del Sacro Cuore viene celebrata nel venerdì successivo alla festa del Corpus Domini.
Da qualche anno, poi, si celebra in questo stesso giorno la “Giornata mondiale di preghiera per la santificazione dei Sacerdoti”. Il santo Curato d’Ars diceva, infatti, che “il sacerdote è l’amore del Cuore di Gesù” e, per adempiere la sua missione, ha bisogno, lui per primo, di essere custodito da quell’Amore che deve annunciare.
La devozione al Cuore di Gesù, inoltre, non deve indurci soltanto a custodire nel nostro intimo dei sentimenti affettivi, ma deve diventare contemplazione del mistero d’Amore che si è aperto, per grazia, davanti ai nostri occhi.
Nel cuore di Gesù dobbiamo imparare a comprendere il cuore di Dio, il cuore dell'uomo, il cuore della Chiesa, il cuore del mondo… Si tratta, insomma, di imparare l’Amore, in tutti i suoi legami e in tutte le sue esigenze: l’amore esige perdono, maturazione, pienezza.
Una moderna poetessa lo ha cantato così: «Il Cuore... / si offrì alla lancia del soldato / venne squarciato e ne zampillò sangue ed acqua, / torrenti di misericordia e di grazia, / fiumi di pace. / Levate lo sguardo al Trafitto, / fissatelo nelle sue profondità / voi che lo trafiggeste! / Contemplate il Cuore nel Cuore! / Toccatelo! / Voi che lo avete aperto, / entrate!» (O. Schneider).

IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 Sacro_11

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S. Amos, profeta;
S. Bernardo d¿Aosta (XI sec.);
S. Germana Cousin (1570-1601).
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Messaggio  Attilio Citrino Ven 15 Giu - 21:25

Santo del giorno 16 giugno


CUORE IMMACOLATO DI MARIA
"Siate la salvezza dell'anima mia"

Furono gli stessi santi che ardevano d’amore per il Cuore di Gesù a capire subito che la sua festa doveva essere abbinata a quella del Cuore Immacolato di Maria. Lo decise il papa Pio XII in seguito alle apparizioni di Fatima (1917).
La Vergine Santa aveva chiesto allora che il mondo intero fosse consacrato al suo Cuore Immacolato. Tale consacrazione avvenne nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, e la festa fu approvata nel 1944. Anche questa devozione, però, non deve far leva soltanto sul sentimento (pur se è dolce e consolante sapere che il mondo è cullato dal battito di un cuore materno), ma deve ricondurci all’esperienza di Maria che ci è stata raccontata dal Vangelo. Di lei ci vien detto che, fin dalla notte di Natale, “conservava tutti gli avvenimenti nel suo cuore, meditandoli” (Lc 2,19).
L’espressione viene ripetuta dopo il sofferto ritrovamento del Bambino nel Tempio. Sappiamo che Maria e Giuseppe non compresero l’accaduto, ma che lei “serbava tutto nel suo cuore” (Lc 2,51).
Fu dunque la prima a imparare che il rapporto con suo Figlio (anche per lei che l’aveva portato nel grembo!) doveva farsi preghiera continua, e che il cuore adorante della creatura è il luogo dove l’intera Trinità vuole abitare. Nell’ultima sera della sua vita terrena, infatti, Gesù dirà: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Maria fu la prima a “osservare la Parola di Dio”, così pienamente che essa si fece carne in lei. Ma trascorse, poi, tutto il resto della sua vita a conservarla e meditarla nel cuore, rendendolo sempre più “immacolato” e sempre più materno, per poterci accogliere tutti misericordiosamente.

IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 Cuorem10
Altri Santi del giorno

S. Aureliano di Arles (VI sec.);
S. Lutgarda (XIII sec.);
B. Maria Teresa Scherer (1825-1888).

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Messaggio  Attilio Citrino Sab 16 Giu - 22:01

Domenica 17 giugno
Nel cuore di tutti il seme di Dio

XI Domenica del Tempo
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce [...].». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» [...].

Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno. Gesù parla delle cose più grandi con una semplicità disarmante. Non fa ragionamenti, apre il libro della vita; racconta Dio con la freschezza di un germoglio di grano, spiega l'infinito attraverso il minuscolo seme di senape. Perché la vita delle creature più semplici risponde alle stesse leggi della nostra vita spirituale, perché Vangelo e vita camminano nella stessa direzione, che è il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Accade nel regno di Dio come quando un uomo semina. Dio è il seminatore infaticato della nostra terra, continuamente immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il nostro compito è portarle a maturazione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi germi vitali. Nessuno ne è privo, nessuno è vuoto, perché la mano di Dio continua a creare.
La prima parabola sottolinea un miracolo di cui non ci stupiamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Ecco: Che tu dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Com'è pacificante questo! Le cose di Dio fioriscono per una misteriosa forza interna, per la straordinaria energia segreta che hanno le cose buone, vere e belle. In tutte le persone, nel mondo e nel cuore, nonostante i nostri dubbi, Dio matura. E nessuno può sapere di quanta esposizione al sole, al sole della vita, abbia bisogno il buon grano di Dio per maturare: nelle persone, nei figli, nei giovani, in coloro che mi appaiono distratti, che a volte giudico vuoti o senza germogli.
La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albero che ne nascerà. Senza voli retorici: il granello non salverà il mondo. Noi non salveremo il mondo. Ma, assicura Gesù, un altro è il nostro compito: gli uccelli verranno e vi faranno il nido. All'ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo e conforto. Guardi un piccolo seme accolto nel cavo della mano, lo diresti un grumo di materia inerte. Ma nella sua realtà nascosta quel granello è un piccolo vulcano di vita, pronto a esplodere, se appena il sole e l'acqua e la terra...
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio. Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti, contadini del Regno dei cieli, seminiamo buon grano: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia. Lo facciamo scommettendo sulla forza della prima luce dell'alba, che appare minoritaria eppure è vincente. Qui è tutta la nostra fiducia: Dio stesso è all'opera in seno alla terra, in alto silenzio e con piccole cose
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Messaggio  Attilio Citrino Lun 18 Giu - 20:56

Santo del giorno 19 giugno


S. Romualdo
Nella cella come in Paradiso

Nacque a Ravenna verso la metà del sec. X e fu monaco in s. Apollinare in Classe. Ma insoddisfatto dell’esperienza si rifugiò a s. Miquel de Cuixà, un monastero catalano, accompagnandovi il doge Pietro Orseolo I, che era fuggito nascostamente da Venezia per consacrarsi a Dio.
Dopo dieci anni tornò a Ravenna desideroso di solitudine, ma sempre attratto, paradossalmente, a intraprendere nuovi viaggi per fondare o riformare piccoli monasteri ed eremi lungo l’Appennino umbro-marchigiano, o lungo il delta padano, o sulle coste istriane.
Era sempre pronto ad accorrere dove lo chiamavano purché lo scopo fosse sempre lo stesso: l’espansione della vita monastica ed eremitica. Ai suoi monaci insegnava che dovevano “sedere nella loro piccola cella come in Paradiso”.
Cercò di imprimere la sua impronta contemplativa anche nell’abbazia di Montecassino. Poi riprese la sua attività di fondatore. Ma era piuttosto severo ed esigente, e non gli mancarono dolorosi contrasti e persecuzioni.
Nella sua vita le contraddizioni esteriori non mancavano: Romualdo era sempre in cerca di solitudine e sempre in relazione con l’imperatore e i potenti del tempo; sempre occupato a edificare e sempre insofferente di ogni istituzione. Anche il suo carattere ondeggiava continuamente tra la più amabile serenità e l’indignazione più infuocata. Si convinse allora che era meglio per lui predicare “col silenzio della lingua e con l’eloquenza della vita”. Ma fu l’ultima fondazione, quella dell’eremo di Camaldoli, che gli diede un posto riconosciuto nella storia. Da esso nascerà infatti la congregazione Camaldolese, che manterrà unite (anche dal punto di vista architettonico) l’esperienza eremitica e quella comunitaria.
Romualdo morì a settantacinque anni, e fu un suo santo discepolo, s. Pier Damiani, a scriverne, pochi anni dopo, la vita.
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Altri Santi del giorno

Santi Gervasio e Protasio, martiri (II-III sec.);
S. Giuliana Falconieri (1270-1341).
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Messaggio  Attilio Citrino Mar 19 Giu - 21:57

Santo del giorno 20 giugno


Martiri di Nagasaki
Sulla "santa collina",

La città di Nagasaki (nota per il bombardamento atomico subito durante l’ultima guerra mondiale, pochi giorni dopo Hiroshima) è stata il primo centro del cattolicesimo giapponese.
L’evangelizzazione del Giappone era stata iniziata da s. Francesco Saverio il 15 agosto dell’anno 1549, e dopo quarant’anni contava già trecentomila fedeli.
Nel 1589 i gesuiti furono ufficialmente espulsi dallo 'shogun' (maresciallo della corona) Hideyoshi che, fino ad allora, li aveva protetti. I motivi non sono noti, e comunque l’editto non venne applicato con rigore: i gesuiti si limitarono a vivere in semi-clandestinità. Ma l’equilibrio saltò quando sbarcarono in Giappone dei missionari francescani che adottarono uno stile più aggressivo. Non mancarono i problemi e i sospetti politici nei riguardi del governo spagnolo, schierato a sostegno di quei nuovi evangelizzatori. La persecuzione si riaccese violenta.
Nel 1597 i protomartiri del Giappone (6 francescani, 3 gesuiti e 17 giapponesi) furono crocifissi nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina”. Ma il vigore della comunità cristiana non diminuì. Nel 1614 fu decretata una persecuzione ancora più feroce: le undici chiese esistenti furono tutte demolite e ai cristiani scoperti a praticare la loro religione venivano inflitti supplizi d’ogni genere.
Nel 1626 gli ultimi superstiti furono condannati alla pena del fuoco: per molte sere e molte notti, la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane: fu quella l’ultima luce che i missionari poterono donare. Per due secoli e mezzo i cristiani vissero di questa luce, trasmettendosi il battesimo, la preghiera e la sacra dottrina, anche senza chiese, senza sacerdoti e senza eucarestia.


Altri Santi del giorno

Beati Tommaso Whitbread e compagni, martiri (XVII sec.);
Giovanni da Matera ((1070-1139).
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Messaggio  Attilio Citrino Mer 20 Giu - 19:58

Santo del giorno 21 giugno


S. Luigi Gonzaga
Purezza e carità

Nacque a Castiglione delle Stiviere nel 1568, figlio primogenito del marchese di Mantova e fu educato alla corte del granduca di Toscana.
Ricevette la prima comunione dalle mani di s. Carlo Borromeo, e l’incontro col santo cardinale di Milano lo rafforzò nella decisione di dedicarsi al servizio di Dio. Per distoglierlo il papà lo condusse con sé alla corte di Madrid, dove Luigi divenne compagno e amico del principe ereditario Diego. Ma la morte precoce del principino lo rafforzò nella decisione di rinunciare ad ogni suo diritto di primogenitura, in favore del fratello Rodolfo.
A diciassette anni chiese d’essere accolto tra i Gesuiti. Era fragile di costituzione fisica, ma di tempra morale così robusta che i confratelli già vedevano in lui la futura guida dell’Ordine. Nel 1590 Roma, in preda alla siccità e alla carestia, fu invasa da turbe di contadini affamati e fu devastata da un’epidemia di tifo.
I Gesuiti si distribuirono a servire gli appestati nei vari ospedali della città, poi adibirono ad infermeria la loro stessa casa.
A Luigi (di salute cagionevole) i superiori proibirono di frequentare i reparti dei contagiosi. Ed egli obbedì umilmente. Un giorno, però, tornando dal suo solito giro di assistenza trovò un appestato morente all’angolo della strada: se lo caricò sulle spalle e lo portò in ospedale.
Morì a ventitre anni d’età, ripetendo ad amici e confratelli le parole che aveva scritto nell’ultima lettera che aveva indirizzato alla sua mamma: «Non piangete come morto uno che ha da vivere per sempre davanti a Dio».
La Chiesa, affascinata dalla sua purezza, lo invocò subito come patrono della gioventù. Il suo più bel ritratto è quello che gli fece El Greco alla corte di Madrid.
Luigi Gonzaga fu canonizzato nel 1726.
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Altri Santi del giorno

S. Raimondo d'Aragona (XII sec.);
S. Giuseppe Isabel Flores (XX sec.).
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Messaggio  Attilio Citrino Gio 21 Giu - 21:47

Santo del giorno 22 Giugno


S. Tommaso Moro
"L'utopia di Dio",

Nato a Londra nel 1477, Tommaso Moro fu uno dei più grandi umanisti del suo tempo. La sua più celebre opera di filosofia politica s’intitola Utopia.
Sposato e padre di quattro figli, impegnato in magistratura, diede testimonianza di intensa carità, giungendo fino a fondare una Casa della Provvidenza per accogliervi vecchi e bambini infermi.
Nel 1529 fu nominato cancelliere del Regno d’Inghilterra dal re Enrico VIII. Purtroppo il sovrano era allora in conflitto col papa perché pretendeva l’invalidazione delle nozze contratte con Caterina d’Aragona (che non gli aveva dato figli), per sposare Anna Bolena. Al rifiuto del pontefice, si fece proclamare «unico protettore e capo supremo della Chiesa d’Inghilterra». Non potendo accettare in coscienza tale decisione, Moro si dimise dall’incarico di cancelliere. Imprigionato nella Torre di Londra, vi rimase per quindici mesi,meditando la Passione di Cristo e “cercando di seguire umilmente le Sue orme”.
A chi cercava di convincerlo, ricordandogli che “l’Atto di Supremazia” era stato accettato perfino da molti vescovi, Tommaso rispondeva che «la maggior parte dei santi in cielo avevano pensato in vita come lui pensava» e che «il concilio di un solo Regno non aveva autorità contro il Concilio generale della Cristianità».
Quando gli fu letta la sentenza che lo condannava alla decapitazione, disse ai suoi giudici: «Spero che io e voi, miei Signori, possiamo incontrarci un giorno gioiosamente in cielo».
Così morì, il 6 luglio 1535. Per tutta la vita aveva esaltato la dignità dell’uomo – così rivendicata nel Rinascimento – armonizzando assieme fede, cultura, carità, affetti familiari, impegno sociale e politico.
Infine, morendo martire, mostrò che la sua più alta dignità stava nel saper consegnare totalmente a Cristo Gesù la propria vita.
IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 10415010
Altri Santi del giorno

S. Paolino da Nola (IV-V sec.);
S. Giovanni Fisher (1469-1535).
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Messaggio  Attilio Citrino Ven 22 Giu - 21:39

Santo del giorno 23 giugno


S. Giuseppe Cafasso
Condannati, ma chiamati alla santità

Sono passati poco più di duecento anni dalla sua nascita. Giuseppe Cafasso fu un prete di eccezionale.
Don Bosco, che gli fu amico, lo considerava «un modello di vita sacerdotale».
Di salute malferma, si dedicò all’insegnamento e alla formazione dei giovani seminaristi e alla carità sociale. Insegnava ai seminaristi la teologia morale, di cui aveva una rara competenza e li preparava a saper capire le anime. Chiedeva loro soprattutto di imparare a sapersi donare interamente: “un prete – amava dire – è venduto al Signore”. Null’altro può e deve interessargli che lavorare per Lui e per le anime che gli sono affidate.
Ma don Cafasso (oltre a essere rettore del Convitto Ecclesiastico, dove si formavano i neo-sacerdoti) esercitava anche un’altra e più alta missione nell’ambiente più difficile: quello delle carceri e delle celle dei condannati a morte (allora molto numerosi). Li accompagnava nelle ultime terribili ore (passando con loro tutta intera l’ultima notte), cercando non solo di riconciliarli con Dio, ma di introdurli in Paradiso.
Diceva che questa era la sua missione: aiutarli ad affrontare la morte già pronti per il Paradiso, senza bisogno di dover passare per il Purgatorio. Li chiamava “i suoi santi impiccati”. Ed era straordinario il rispetto con cui li trattava e la dignità che riconosceva loro. Poi esaudiva anche la loro ultima richiesta: di solito, quella di prendersi cura delle loro famiglie.
Lo chiamavano «il prete della forca», ma il titolo non era dispregiativo, esprimeva anzi un affetto immenso per quell’umile prete che accettava sempre di condividere situazioni e ore terribili.
Morì nel 1860 e, dei carcerati, è stato proclamato patrono.
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Altri Santi del giorno

S. Valerio (XII sec.);
S. Tommaso Garnet (XVII sec.).

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Messaggio  Attilio Citrino Gio 28 Giu - 23:59

La vera storia di Sant'Attilio da Collosa
Ilaria Vajngerl

(A Lo, al nostro gioco)


Padre Attilio morì muto. Mi piacerebbe almeno salutare, questo fu il suo ultimo pensiero.
Ma aveva fatto un voto, spirò in silenzio.
Se avesse custodito la premonizione che Dio gli aveva mandato in sonno, Nostrosiggnoregesùcristo non l'avrebbe fatta avverare. E sarebbe stato un bene, un sacrificio compiuto per VoiTutti. Così don Attilio smise di parlare.
Perché, anche se Collosa era una città di peccatori, vergognatevi, perché sono tutte balle quelle che vi raccontano, l'inferno esiste davvero e i diavoli, a voi, pungeranno il culo!, lui avrebbe salvato il suo amatissimo gregge dal buio di un destino incerto, così parlò quell'ultima volta.
Poi scrutò i fedeli e si portò agli occhi le dita indice e medio della mano destra aperte a V, V di VI VEDO, che puntò subito dopo verso la folla sbiadita.
Nei giorni che seguirono il suo funerale non erano piovute cavallette e i primogeniti continuavano ad essere picchiati dai fratelli più piccoli, ma più grossi, segno che l'alleanza fra Dio e il sacerdote era andata a buon fine.
Un secolo dopo, Sua Santità Papa Angelico il Pio provvide personalmente alla canonizzazione del prete, così anche il suo più intimo desiderio, comparire sul calendario di Frate Indovino, poté essere realizzato.
Postumo, sì, ma realizzato. E diciamolo, Sant'Attilio da Collosa suona proprio bene.


Se avesse mantenuto il primo nome, quello che portava quando era bambino, sul calendario non ci sarebbe finito. E nemmeno sarebbe diventato prete, questo è certo.
Nella famiglia di don Attilio avere un nome che iniziasse con la A, portava bene, era tradizione. C'era Anna, sua madre, e Andrea, suo padre, poi venivano Adele, Agnese, Alberto e Antonio. E in ultima, c'era lui, padre Attilio.
Attila.
Padre Attila, bé sarebbe stato originale, davvero, Padre Attila flagello di Dio.
Eh, no, no non si può fare proprio carissimo, questo è certo. Trovi qualcosa di più consono, ecco, così gli dissero. E Attila fu ribattezzato Attilio, Perilbenenostroetdituttalasuasantachiesa. Amen.

Le orecchie di padre Attilio erano simili all'altoparlante di un grammofono. E funzionavano ancora meglio. Poteva ascoltare la voce del padreterno dall'orecchio sinistro. E Dio a don Attilio ci si era affezionato. Così prima del sorgere del sole, Nostrosiggnoregesùcristo, che vi guarda tutti dall'alto, figli di Eva!, andava a mostrare al parroco la melma nascosta sotto Collosa.
Padre Attilio il bonificatore, si faceva chiamare.
Ti ho visto l' altra notte, sai!?! Esordiva così, gli piaceva comparire alle spalle d'improvviso. Il peccatore sobbalzava, abbassava il capo impallidendo e infine si voltava tremante. Pensava che forse allora Dio esisteva davvero, l'aveva scoperto, e che, per favore Dio, fammi passare almeno questa, andrò a messa tutte le domeniche. Lo giuro.
Don Attilio, bé, non sbagliava un colpo. Era anche meglio di uno che fa i miracoli.
Nessuno poteva immaginare che dietro i suoi prodigi ci stesse una zanzara.

La pianura di Collosa, una volta, era una palude marrone. Gli abitanti della città se ne ricordavano soltanto in estate, quando le zanzare cominciavano ad avere sempre più sete e gli abitanti più prurito. Le ragazze si profumavano con la citronella, le zitelle mangiavano l' aglio, usando la puzza del sudore come repellente naturale.
Padre Attilio invece si lasciava pungere per fare penitenza e poi, mica poteva grattarsi. Eh no, infilava avemarie, padrenostri e chi più ne ha più ne metta.

Fu in una notte di luglio che una zanzara canterina, una di quelle che prima di pizzicarti te lo sibila all'orecchio, rimase intrappolata nel condotto uditivo sinistro di padre Attilio, che nei suoi accarttocciamenti notturni era solito ficcare la testa sotto il cuscino.
Nell'orecchio del sacerdote si stava stretti, è vero, ma era un posto sicuro, umido al punto giusto. La zanzara decise di rimanervi.

L'indomani padre Attilio si svegliò sereno. Fece colazione, andò in bagno chiudendo dietro di se la porta a chiave. Solo per precauzione.
Da piccolo acchiappava i rospi più grossi e li gettava nel catino mentre Adele e Agnese si lavavano la schiena. Il più delle volte l'acqua della vasca era troppo calda, le rane morivano quasi subito, si gonfiavano e diventavano bianche. Agnese non diceva nulla, si rivestiva e andava ad aiutare sua madre in cucina. Adele vomitava.
Padre Attilio si lavò denti, si fece la barba e si insaponò le ascelle.
Agnese se ne rimaneva tranquilla. E questo Attila proprio non sapeva spiegarselo. Poi un giorno, mentre se ne stava solo in ammollo, sua sorella era entrata di soppiatto con un mazzo di ortiche. Era arrivata da dietro, gli aveva infilato la testa sott'acqua, tenendolo stretto per i capelli. Quando l' aveva sentito dibattersi aveva mollato la presa. Lui era subito scattato in piedi, aveva bisogno d'aria.
Lei allora aveva iniziato a colpire.
Agnese anche quella volta era rimasta in silenzio, aveva gettato quel che rimaneva delle ortiche nel letamaio e se ne era tornata in cucina ad aiutare sua madre.

Padre Attilio cominciò a sentire la voce della zanzara nel confessionale. Inginocchiato c'era il notaio. Odio mia moglie. Non la sopporto. Nel mio studio ho messo un divano. È lì che sto finito di lavorare. Rientro per cena. E mia moglie mi sorride, è perfetta, come una volta. Io la odio ancora di più, mi fa sentire in colpa. Mi fa sentire vecchio.
Digli che sua moglie ha l'amante. L'ho vista.
Padre Attilio pensò di essersi sbagliato, in chiesa a quell'ora non c'era nessuno.
Digli che sua moglie ha l'amante.
Il sacerdote non voleva ascoltare, non capiva.

Quando Attilio andò a pregare, Dioaiutamisatanahasceltome, la zanzara finalmente uscì dal nascondiglio per presentarsi. Senti prete, mettiamoci d'accordo. Tu di giorno mi fai rimanere dentro il tuo orecchio, al sicuro. In cambio poi ti racconto quello che succede la notte, quando io vado a mangiare e tu dormi. Ci diamo il cambio, posso rendermi utile.

Presto la moglie del notaio uccise suo marito. Lo trovarono in fondo alle scale con la testa fracassata. Pensarono ad un malore. Ma padre Attilio, no, lui sapeva che era stato ucciso con due colpi di fucile.
Ma cosa dice, qui non ci sono proiettili!
Padre Attilio condusse allora il commissario giù in cantina. Diceva, Dio mi guida, camminava con gli occhi sbarrati, a lui guardare mica serviva.
Fermati prete. Lì dietro c'è qualcosa, sento l'odore.
E così fu trovato l' Hammerless a canne cromate col calcio sporco di sangue.
Il notaio era stato ucciso con due colpi di fucile, assestati precisi, dietro la nuca, come si fa con le trote. Sparare sarebbe stato rischioso. Meglio usare l'arma come una mazza.
Io te l'avevo detto, prete, di dirgli che si era fatta l'amante. Se ne sarebbe andato, sarebbe stato più triste, ma almeno sarebbe vivo. E tu no. Guardalo, cosa dirà ora il tuo Dio?

L'onnipotente si limitava a tacere, Dio ci aspetta. Padre Attilio no.
Mandava di ronda la zanzara.
C'era il professore di greco che per arrotondare la sera si vestiva da donna e andava al porto. Sapeva di detersivo. C'erano le donne che leggevano di nascosto i diari delle figlie. C'erano le figlie che saltavano dalla finestra e andavano a farsi leggere la mano. Qualcuna piangeva. C'erano quelle che dormivano sole e sognavano di avere qualcuno accanto. C'erano le mogli che non riuscivano a prendere sonno perché il marito russava troppo forte. C'erano i vecchi dell'ospizio, che facevano l'amore tutti insieme, per non sentirsi soli, ché tanto non li badava nessuno. C'erano i sospiri di chi sta per morire, di quelli che guardano la notte dalla finestra, e le sorridono, perché non c'è più tempo per fare altrimenti. C'era chi si suicidava.
C'era chi tagliava i capelli della sorella, più bella. Chi di notte si alzava per mangiare. C'erano le ninne nanne e le bestemmie. Anche quelle, sì, perché no.

Don Attilio ogni giorno si dava da fare, era una missione la sua, ci credeva. Prete, se il tuo Dio mi ha mandato ci sarà pure un motivo, in piedi! E lui prendeva il bastone e usciva di casa, ormai aveva smesso di pregare, mica serviva.
La messa delle undici era gremita di peccatori, le anime con la coda, li chiamava. Entravano curvi, guardando il pavimento, si bagnavano appena le dita con l'acqua santa, quasi scottasse. Si facevano un segno della croce svelto, poi prendevano posto il più lontano possibile rispetto all'altare. Come il primo giorno di scuola, arrivavano in anticipo per occupare i banchi più in fondo.
Almeno un tre quarti dei suoi fedeli era gente nuova, alcuni, quelli che ormai erano già stati scoperti, Santiddiononfarmiadareall'infernoperdonamisehopeccato, speravano nella divina assoluzione. Gli altri, quelli che ancora dovevano essere scovati, dicevano a Dio, solo questa, solo questa e poi la smetto, te lo prometto, ma fa che Attilio non lo venga a sapere.

La fama del sacerdote, L'Orecchio del Signore, si diffuse ben presto in tutta la nazione. I Collosini quando viaggiavano e qualcuno chiedeva loro da dove venissero rispondevano, sto dove abita padre Attilio, sapendo che l'altro poi avrebbe esclamato, ah, a Collosa, c'è stata mia nonna!
Andava così, tutte le volte.
Prete, sei famoso, eh? Non mi ringrazi?
Attilio pensava che il suo nome sarebbe stato ricordato per sempre, di Attilio ce n'era uno, mica come Attila.

Fu un venerdì mattina che padre Attilio svegliandosi trovò la zanzara spiaccicata sul cuscino. Probabilmente ci si era rotolato sopra tutta la notte. Di lei non restava che una macchia rossa con le zampe tese verso il soffitto. Forse chiedeva perdono.
Il sacerdote ebbe un capogiro, non riuscì ad alzarsi, bisognava pensare.
Non avrebbe sopportato di essere dimenticato, questo lo sapeva. Ma cosa avrebbe detto al vescovo, ai pellegrini, o al sindaco quando avrebbero chiesto i suoi stimati servigi?
Gli avrebbero dato dell'impostore.
Non doveva succedere, per nessun motivo. In fondo anche lui aveva fatto del bene. È dai poteri che si giudica un santo? Non doveva compromettersi, non poteva.

Questa notte Dio mi è apparso in sogno. Fratelli miei, porto dentro un segreto, che se rivelato risulterà mortale per Noitutti. Così ho stretto un patto col Signore nostro, per salvare voi che peccate, l'umanità intera, che ho più a cuore della mia stessa vita. Smetterò di parlare, ho fatto un voto. D'altra parte voi farete i conti direttamente con Dio, che è infinitamente giusto. Nostro signore mi vuole mettere alla prova, ancora una volta, se custodirò la Rivelazione fino alla fine dei miei giorni, allora vivrete sicuri, mio amatissimo gregge, lontani dal buio di un destino incerto.
Così parlò quell'ultima volta.
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Messaggio  Attilio Citrino Lun 2 Lug - 22:45

San Tommaso Apostolo 3 luglio

Palestina - India meridionale, primo secolo dell’èra cristiana
Chiamato da Gesù tra i Dodici. Si presenta al capitolo 11 di Giovanni quando il Maestro decide di tornare in Giudea per andare a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli temono i rischi, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, obbediente e pessimistica: «Andiamo anche noi a morire con lui», deciso a non abbandonare Gesù. Facciamo torto a Tommaso ricordando solo il suo momento famoso di incredulità. Lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma credere non gli è facile, e non vuol fingere che lo sia. Dice le sue difficoltà, si mostra com'è, ci somiglia, ci aiuta. Dopo la morte del Signore, sentendo parlare di risurrezione «solo da loro», esige di toccare con mano. Quando però, otto giorni dopo, Gesù viene e lo invita a controllare esclamerà: «Mio Signore e mio Dio!», come nessuno finora aveva mai fatto. A metà del VI secolo, un mercante egiziano scrive di aver trovato nell'India meridionale gruppi inaspettati di cristiani e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo.
Lo incontriamo tra gli Apostoli, senza nulla sapere della sua storia precedente. Il suo nome, in aramaico, significa “gemello”. Ci sono ignoti luogo di nascita e mestiere. Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 11, ci fa sentire subito la sua voce, non proprio entusiasta. Gesù ha lasciato la Giudea, diventata pericolosa: ma all’improvviso decide di ritornarci, andando a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli trovano che è rischioso, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, obbediente e pessimistica: "Andiamo anche noi a morire con lui". E’ sicuro che la cosa finirà male; tuttavia non abbandona Gesù: preferisce condividere la sua disgrazia, anche brontolando.
Facciamo torto a Tommaso ricordando solo il suo momento famoso di incredulità dopo la risurrezione. Lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma credere non gli è facile, e non vuol fingere che lo sia. Dice le sue difficoltà, si mostra com’è, ci somiglia, ci aiuta. Eccolo all’ultima Cena (Giovanni 14), stavolta come interrogante un po’ disorientato. Gesù sta per andare al Getsemani e dice che va a preparare per tutti un posto nella casa del Padre, soggiungendo: "E del luogo dove io vado voi conoscete la via". Obietta subito Tommaso, candido e confuso: "Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?". Scolaro un po’ duro di testa, ma sempre schietto, quando non capisce una cosa lo dice. E Gesù riassume per lui tutto l’insegnamento: "Io sono la via, la verità e la vita". Ora arriviamo alla sua uscita più clamorosa, che gli resterà appiccicata per sempre, e troppo severamente. Giovanni, capitolo 20: Gesù è risorto; è apparso ai discepoli, tra i quali non c’era Tommaso. E lui, sentendo parlare di risurrezione “solo da loro”, esige di toccare con mano. E’ a loro che parla, non a Gesù. E Gesù viene, otto giorni dopo, lo invita a “controllare”... Ed ecco che Tommaso, il pignolo, vola fulmineo ed entusiasta alla conclusione, chiamando Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”, come nessuno finora aveva mai fatto. E quasi gli suggerisce quella promessa per tutti, in tutti i tempi: "Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno".
Tommaso è ancora citato da Giovanni al capitolo 21 durante l’apparizione di Gesù al lago di Tiberiade. Gli Atti (capitolo 1) lo nominano dopo l’Ascensione. Poi più nulla: ignoriamo quando e dove sia morto. Alcuni testi attribuiti a lui (anche un “Vangelo”) non sono ritenuti attendibili. A metà del VI secolo, il mercante egiziano Cosma Indicopleuste scrive di aver trovato nell’India meridionale gruppi inaspettati di cristiani; e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo. Sono i “Tommaso-cristiani”, comunità sempre vive nel XX secolo, ma di differenti appartenenze: al cattolicesimo, a Chiese protestanti e a riti cristiano-orientali.
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Messaggio  Attilio Citrino Mar 3 Lug - 21:30

Mercoledì 4 Luglio 2012
B. Piergiorgio Frassati
La fierezza del credere
Nacque Torino nel 1901. Il padre – fondatore del quotidiano La Stampa – fu dapprima il più giovane senatore del Regno d’Italia e poi ambasciatore d’Italia a Berlino. Ma la situazione familiare non era serena. Per fortuna il ragazzo scoprì la maternità della Chiesa impegnandosi in molte associazioni cattoliche e assimilandovi la legge suprema della carità.
S’iscrisse alla Facoltà d’Ingegneria Mineraria perché aveva avuto modo di conoscere i disagi degli operai nelle miniere e voleva «aiutare la sua gente». In Università difese con coraggio la liberta d’espressione dei credenti, schiacciati tra i gruppi minacciosi dei social-comunisti e le violente squadre fasciste. Ma era fiero della sua fede e scriveva: «Ogni giorno di più comprendo quale grazia sia l’essere cattolici. Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità, non è vivere, ma vivacchiare...».
Capiva però che le sue battaglie avevano senso soltanto se fondate sull’esperienza in atto della carità. Non era perciò raro vedere il giovane Frassati trascinare per le strade di Torino carretti carichi di masserizie per aiutare i traslochi dei poveri; o portare pacchi di vestiario e di cibo nelle più povere soffitte. E lo faceva coinvolgendo amici e colleghi non soltanto negli impegni gravosi, ma anche nella passione per la montagna e per una sana e allegra goliardia. A 24 anni, in una delle sue consuete visite alle soffitte dei poveri, contrasse una poliomielite fulminante. Ai funerali il corteo si riempì di poveri da lui beneficati.
Il socialista Filippo Turati, sul quotidiano del suo partito, tratteggiò così la figura di Piergiorgio: «Un giovane cattolico che agisce come crede, parla come sente e fa come parla, può insegnare qualcosa a tutti…». È stato beatificato nel 1990.
IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 Beato_11
Altri Santi del giorno
S. Elisabetta del Portogallo (1271-1336);
S. Antonio Daniel (XVII sec.).

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Messaggio  Attilio Citrino Mer 4 Lug - 22:24

Giovedì 5 Luglio 2012
S. Antonio Maria Zaccaria
Il tempo di intuire il futuro, a cura di Antonio Maria Sicari
Nei periodi più drammatici della storia della Chiesa, s’incontrano a volte dei Santi che sembrano avere la vocazione di indicare semplicemente il futuro. La loro opera può rivelarsi anche precaria, e l’incomprensione degli altri credenti li avvolge e li affligge da ogni lato. A volte non hanno nemmeno molti anni a disposizione. Ma il loro compito è appunto quello semplice e radicale di indicare strade nuove, anche se – nel loro tempo – sembrano impercorribili.
Tale fu la vicenda di S. Antonio Maria Zaccaria, nato a Cremona nel 1502 e vissuto per soli trentasette anni. Oggi è conosciuto come il Fondatore dei Chierici Regolari di S. Paolo (detti anche Barnabiti, dal nome della chiesa milanese in cui si radunavano). Li aveva immaginati come “preti” capaci di “correre come pazzi incontro a Dio e incontro al prossimo”, utilizzando soprattutto il sapere e la predicazione.Ma fondò anche un gruppo di religiose di vita attiva (cosa allora impensabile) e un gruppo di laici sposati, dediti all’apostolato.
Le realizzazioni concrete furono quelle allora possibili. Ma originale era l’unico sogno di “riforma della Chiesa”, che Antonio Maria Zaccaria, da giovane, aveva chiamato semplicemente così: “amicizia”, amicizia tra i cristiani e tra diversi stati di vita, nell’unica “comunione” e coadunati per l’unica missione. Dovette subire perfino dei processi per eresia a Roma, ma fu assolto. Ma la strada dell’unità tra gli stati di vita era stata tracciata e l’indicazione (recepita dal Concilio vaticano II) oggi vale per tutti.
Fu lui l’inventore delle Quarantore (che spesso amava predicare) e dell’uso (un tempo amato) di ricordare la morte di Gesù, ogni venerdì alle 15, con qualche tocco addolorato di campana.
IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 A910

Altri Santi del giorno
S. Atanasio l'Atonita, (920-1003);
S. Guglielmo di Hirsau, abate (XII sec.).
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Messaggio  Attilio Citrino Gio 5 Lug - 21:47

Venerdì 6 Luglio 2012
S. Maria Goretti
"Piccola e dolce martire della purezza"
Nacque il 16 ottobre 1890, terza figlia di due poveri agricoltori (i Goretti) che s’erano trasferiti in un vecchio casolare dell’Agro Pontino. Marietta non aveva potuto studiare: era solo riuscita faticosamente a prepararsi alla Prima Comunione, ma era maturata nella dolcezza della fede, che apprendeva dalle labbra dei genitori, recitando con loro le preghiere del mattino e il rosario alla sera. A lei toccavano i lavori di casa e la cura della sorellina più piccola.
Il papà morì quando Maria aveva solo dieci anni, e la mamma dovette appoggiarsi a un’altra famiglia di contadini che abitava nello stesso casolare. Ne faceva parte Alessandro, un ventenne inquieto, che cominciò a interessarsi morbosamente alla piccola Maria che non aveva ancora dodici anni.
Un caldo giorno del luglio 1902, vedendo che la ragazza era rimasta sola in casa, Alessandro cercò di usarle violenza. Maria reagì appellandosi con forza alla sua fede cristiana: “E’ peccato, Alessandro. Andrai all’inferno!”, ripeteva cercando di svincolarsi. Esasperato il giovane le si avventò contro con un punteruolo, trafiggendola più volte. Attratti dalle grida, accorsero i familiari e poi anche, dopo quattro ore, gli infermieri con un’ambulanza trainata da cavalli. All’ospedale di Nettuno i medici costatarono che le quattordici ferite di Maria non lasciavano scampo, anche se era ancora cosciente.
Prima di morire, disse al sacerdote che l’assisteva: “Perdono Alessandro con tutto il cuore e voglio che venga vicino a me in Paradiso”.
Il ragazzo fu incarcerato, ma una notte sognò Maria che lo invitava dolcemente a una vita di pentimento e di fede. Si convertì in prigione, dove restò per ventisette anni. E fu presente a S. Pietro il 24 giugno 1950, giorno della gloriosa canonizzazione della sua vittima.
IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 Santa-10

Altri Santi del giorno
S. Romolo di Fiesole (IV sec.);
M. Teresa Ledochowska (1863-1922).


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Messaggio  Attilio Citrino Dom 8 Lug - 1:43

Domenica 8 Luglio 2012

È la vita ordinaria la liturgia di Dio

XIV Domenica del Tempo Ordinario, a cura di Ermes Ronchi



In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano [...]: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone [...]?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.

A Nazaret va in scena il conflitto perenne tra quotidiano e profezia. All'inizio parole e prodigi di Gesù stupiscono, immettono un «di più» dentro la normalità della vita. Poi l'ordinario instaura di nuovo la sua dittatura.
Che un profeta sia un uomo straordinario, carismatico, ce lo aspettiamo. Ma che la profezia sia nel quotidiano, in uno che non ha cultura e titoli, le mani segnate dalla fatica, nel profeta della porta accanto, questo ci pare impossibile. A Nazaret pensano: «Il figlio di Dio non può venire in questo modo, con mani da carpentiere, con i problemi di tutti, non c'è nulla di sublime, nulla di divino. Se sceglie questi mezzi poveri non è Dio». Ma lo Spirito scende proprio nel quotidiano, fa delle case un tempio, entra dove la vita celebra la sua mite e solenne liturgia. Noi cerchiamo Dio, il pastore di costellazioni, nell'infinito dei cieli, quando invece è inginocchiato a terra con le mani nel catino per lavarci i piedi.
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? Scandalizza l'umanità, la prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna dentro l'ordinarietà della vita. Gesù cresce nella bottega di un artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle, la resina, il sudore di chi lavora, sa riconoscere il legno al profumo e al tatto.
Una intuizione luminosa di Heidewick di Anversa: «Ho capito che questa è la compiuta fierezza dell'amore: non si può amare la divinità di Cristo senza amare prima la sua umanità». Riscoprire ogni frammento, ogni fremito di umanità nel Vangelo, cercare tutte le molecole di umanità di Gesù: il suo rapporto con i bambini, con gli amici, con le donne, con il sole, con il vento, con gli uccelli, con i fiori, con il pane e con il vino. Il suo modo di avere paura, il suo modo di avere coraggio e come piangeva e come gridava, e la sua carne bambina e poi la sua carne piagata, e poi il suo amore per il profumo di nardo a Betania, la casa degli amici.
Amare l'umanità di Gesù, perché il Vangelo rivela proprio questo: che il divino è rivelato dall'umano, che Dio ha il volto di un uomo.
Gesù al rifiuto dei compaesani mostra il suo candore, il suo bellissimo cuore fanciullo: «Non vi poté operare nessun prodigio» scrive Marco, ma subito si corregge: «Solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è solo stupito. Il nostro Dio non nutre rancori o stanchezze, ma la gioia impenitente di inviare sempre e solo segnali di vita attorno a sé.
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Messaggio  Attilio Citrino Lun 9 Lug - 22:14

Martedì 10 Luglio 2012
Martiri di Damasco
Non abbiamo che un'anima!,
L’Ordine Francescano sente una particolare responsabilità missionaria verso i Luoghi Santi e le comunità cristiane della Terra Santa, fin dal tempo in cui s. Francesco d’Assisi volle recarsi in visita dal sultano al-Malik al-Kamil. Molti secoli sono passati da allora, ma la loro custodia continua a essere decisiva per i cristiani del luogo e per i pellegrini che oggi possono essere accolti dai figli di s. Francesco in settantaquattro santuari.
Nei momenti più difficili i francescani hanno dovuto anche testimoniare col sangue la propria missione e, a volte, sono state sterminate intere comunità. Così accadde agli undici beati Martiri di Damasco che oggi ricordiamo (8 religiosi francescani e tre fratelli laici maroniti), massacrati nel loro convento da un gruppo di fondamentalisti islamici che erano riusciti a penetrarvi proditoriamente, nella notte fra il 9 e il 10 luglio del 1860.
L’eccidio fu deprecato dallo stesso emiro del luogo ch’era accorso nel tentativo di salvare i missionari di cui aveva grande stima. Secondo le testimonianze raccolte, a tutti i prigionieri venne data la scelta di aver salva la vita, rinnegando Cristo, ma tutti risposero in maniera simile al padre Emmanuele Ruiz, superiore del convento (così buono e mite che lo avevano soprannominato “Padre Pazienza”) il quale ribatté con fermezza: «Noi non abbiamo che un'anima. Perduta quella, è perduto tutto. Siamo cristiani e vogliamo morire cristiani». Furono uccisi sull’altare della cappella, dove si erano rifugiati.
Sul pavimento fu poi trovato, intriso di sangue, il piccolo messale arabo di cui padre Emmanuele si serviva per tradurre ai fedeli i vangeli della domenica.
Sono stati tutti beatificati da Pio XI nel 1926.
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Altri Santi del giorno
Sante Rufina e Seconda, martiri (+ 260 c.a);
Amalberga (VIII sec.).


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Messaggio  Attilio Citrino Mar 10 Lug - 21:59

Mercoledì 11 Luglio 2012
S. Benedetto
Padre dell'Europa,
Benedetto, venerato come primo patrono d’Europa e padre del monachesimo occidentale, nacque a Norcia nel 480 e trascorse la sua giovinezza a Roma. Sentendosi però nauseato dalla vita corrotta che vi si conduceva, sentì il desiderio di un’esistenza votata alla preghiera e alla solitudine.
«Desiderando piacere soltanto a Dio, sapientemente ignorante e saggiamente incolto», si ritirò dapprima vicino a Subiaco, tentò poi di dirigere una comunità di monaci a Vicovaro, ma alla fine preferì ancora la solitudine, pur accettando che alcuni eremiti si mettessero sotto la sua guida.
Per sfuggire alla gelosia d’un prete del posto, si ritirò dalle parti di Cassino, dove nel 529 edificò un vero e proprio monastero secondo un ideale che espresse in una Regola, in cui la disciplina è sempre temperata dalla carità. Il monastero vi è pensato come «una scuola per imparare a servire il Signore» («senza mai anteporre nulla all’amore di Cristo») in modo da poter diventare “cellula fondamentale di una nuova socialità”.
Ora et labora fu e resta l’ideale benedettino: compiere l’«opera di Dio» per mezzo della preghiera vissuta come un lavoro e del lavoro vissuto come una preghiera, in una “unità” destinata a favorire il desiderio di Dio e la cura della bellezza, sia nella liturgia, che nel lavoro, che nell’amore per le lettere.
Così l’Abbazia di Montecassino divenne il prototipo di mille altre disseminate in tutta Europa, che, al tempo delle invasioni barbariche, salveranno l’eredità della cultura classica ed elaboreranno un vero umanesimo cristiano. Morì a sessant’anni, considerato da tutti come «uomo di vita venerabile, Benedetto per nome e per grazia».
Il primo racconto della sua vita – una raccolta di miracoli – fu scritto dal papa san Gregorio Magno.

IL SANTO DEL GIORNO - Pagina 18 San_be10


Altri Santi del giorno
S. Pio I, papa (II sec.);
S. Olga di Kiev (890-969).

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