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Letteratura&Pallone:passione²!

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Messaggio  Il Ruminante Dom 2 Dic - 0:02

Letteratura&Pallone:passione²! Moacyr10

Personaggio poco conosciuto dai più, Moacyr Barbosa, è stato un eroe tragico. Primo portiere mulatto, fu accusato ingiustamente per la sconfitta più clamorosa della storia del calcio: Brasile-Uruguay 1-2, finale del Mondiale 1950 giocata in Brasile. La sua storia di vita rievoca quella di un calcio romantico e genuino epico e perduto. Ma, la vicenda di Moacyr e del suo talento dimenticato, è anche un simbolo che aiuta a meglio comprendere tutti i portieri del mondo, difensori estremi, inchiodati a uno sbaglio senza possibilità di riscatto, e a tutti coloro che, nel calcio o fuori, hanno pagato una vita intera per un solo, misero errore.
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Messaggio  OCCAM Dom 2 Dic - 21:01

Letteratura&Pallone:passione²! Garrin10

Le gambe di Manoel Francisco dos Santos, al secolo "Garrincha" o "Manè", e conosciuto anche come "Il Chaplin del calcio" e "Alegria do Povo" (Allegria del Popolo).

" (…)il giovane è affetto da un leggero strabismo, ha la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe; il ginocchio destro affetto da varismo mentre il sinistro da valgismo nonostante un intervento chirurgico correttivo. Per via di tale malformazione — dovuta probabilmente alla poliomielite o alla malnutrizione — il giovane Manoel Francisco dos Santos è dunque dichiarato invalido, e gli è assolutamente sconsigliata ogni tipo di attività fisica agonistica, come il calcio"
Un famosissimo aneddoto lo riassume come persona. Il Brasile torna vittorioso a Rio dai Mondiali del 1958 in Svezia. Tutti sono in delirio, Garrincha no. Il governatore dello Stato di Rio de Janeiro dichiara pubblicamente di voler donare una villa a tutti i giocatori che, ovviamente, accettano di buon grado, tranne uno: Garrincha. A questo punto il governatore, indispettito da "questo analfabeta", chiede direttamente a Garrincha che cosa volesse invece della villa, e lui, candidamente, indicando una gabbietta, dice: "Voglio la libertà di quel passerotto, non la villa".
Garrincha, più di ogni altro giocatore fu amato dai brasiliani per la sua ingenuità, per il suo sorriso sincero, perché il calcio era stato al tempo stesso la sua salvezza e condanna. In quest'ultimo caso, infatti, la vita non è stata affatto gentile nei confronti do questo eterno bambino, felice solo con la palla tra i piedi. Perchè, ancora oggi, se chiedi ad un vecchio brasiliano chi è Pelè, il vecchio si toglie il cappello, in segno di ammirazione e di gratitudine. Ma, se gli parli di Garrincha, il vecchio chiede scusa, abbassa gli occhi e piange.


Ultima modifica di OCCAM il Dom 2 Dic - 23:24 - modificato 1 volta.
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Messaggio  Admin Dom 2 Dic - 21:45

Letteratura&Pallone:passione²! 1a1aaa1gig


LAMENTO PER RIVA

di Gianni Brera

La notizia del grave incidente occorso a Luigi Riva mi è discesa nell'anima a tradimento, come un'amara colata di assenzio. Istintivamente ho riudito i lamenti di Lorca ("que no me dejas veerlo") per il suo amico Ignacio riverso nell'arena. Egli stesso, con voce roca ma ferma, si è raccomandato che non ne facessimo un dramma. Era però Luis Riva l'atleta grande e famoso che aveva pudore di mostrarsi per una volta, debole come gli altri, lui che della vita ha il concetto tragico di chi ha dovuto forzare il destino.

Proprio io, tra i primi, l'avevo visto sbozzarsi a fatica da un ossuto traccagno del mio paese lombardo. Fasci di muscoli guizzavano imperiosi fuor dell'impianto rozzo e quasi greve. Non molti lo capirono e dovette emigrare. Lo fece bellissimo l'esercizio, peraltro scavandolo a vantaggio di prominenze decisamente michelangiolesche se non addirittura barocche. Nonché esaltarsi di questa nuova realtà della sua vita, egli era fatto cauto dal ricordo di troppe miserie vissute e sofferte a Leggiuno. Ancor oggi lo vedo sollevarsi da un bulicame confuso e informe di vittime predestinate alla fame e all'umiliazione. Si è ribellato come usano i romantici e gli eroi, troppo facilmente apparentati con quelli. Nel suo viso incavato erano scritti infiniti ricordi di dolore. Nessun pericolo ha mai potuto arrestarlo. Ha sempre considerato possibili le acrobazie più temerarie, tanto più temibili e pericolose in quanto più vicine all'arcigna durezza della terra.

Spiriti meschini hanno talora fraintese le sue prodezze attribuendole al caso. Altri hanno ignorato la virile bellezza dell'atleta rifugiandosi nel molle decadentismo degli esteti. Inconsciamente e no abbiamo lottato per lui in Italia con i ricordi non proprio estinti degli evirati cantori. Certo, i miaulii dei fighetti seducono più dell'urlo vibrato, non umiliano i deboli al paragone. Rombo di Tuono, io dissi un giorno per quasi incredulo entusiasmo, e trovai memoria di un re Brenno nel nostro etnos più antico. Anche Brenno, come lui, era comacino: ma Luis non era mai nato nel nostro calcio, costituiva fenomeno nuovo nuovissimo, sicché qualcuno esitava, poco riconoscente, a indicarlo quale degno erede di Silvio Piola, lui pure di sangue lombardo.

Piola era giusto di piede rozzo come il suo: ben altro però li doveva rivelare alla grandezza sportiva: innanzi tutto il coraggio, poi la potenza atletica, l'impeto generoso, la quadrata rudezza del carattere. Quel tanto di più armonioso ed equilibrato che era nel gesto di Piola diventava in re Brenno squassante potenza, irruente immagine di aggressione e fors'anche di rapina. Le frustrazioni subite nell'infanzia gli impedivano ogni forma di prepotenza morale. Nessuno più di lui era disposto a capire gli umili. Pensandoci bene, nella sua fuga in Sardegna era improrogabile voglia di riscatto, direi di evasione nel sacrificio, e quindi fatalmente nel dolore.

Parlava di calcio come di un lavoro: non si e mai consentito il piacere di chiamarlo gioco: l'edonismo non era contemplato nella sua natura di ribelle che sapeva le umiliazioni dei vinti. Forse è subito piaciuto ai sardi perché anche loro sembrano mossi da un folle e talora persino torvo eroismo fuori del tempo. I sardi vedevano in lui il campione, l'eletto che doveva riscattarli di fronte a una storia matrigna. L'hanno benvoluto e adottato prima che lo assalisse la nostalgia. Divenuto in pochi anni uno dell'isola, si è sottratto quasi del tutto ai crudeli complessi d'un'infanzia troppo a lungo umiliata nell'indigenza.

Per quanto impegnato sulla parola a essere suo biografo, ho durato fatica a capire io stesso perché non lo allettasse un ritorno in Lombardia. Gli offrivano ingenti ricchezze e ovviamente onori tifo amicizie importanti. Preferiva rifugiarsi in casa di pescatori cagliaritani. Scopriva gli agi come glieli andava offrendo la natura, ancora per poco autentica in Sardegna. Vederlo stritolare e succhiare chele di aragosta era un godimento che sapeva fors'anche di vendetta. I suoi amici sardi annuivano ridendo con i loro antichi visi di berberi. Senza saperlo, certo, si sentivano uniti dal sangue. Berberi erano anche i leponti che avevano popolato i laghi lombardi: da noi, in Italia, venivano chiamati liguri; ma tornare in Lombardia lo spaventava troppi fantasmi sgradevoli, ancora, sotto il suo cielo.

Quando ho conosciuto Riva, ho quasi subito intuito il suo drammatico destino e puerilmente mi sono sforzato di esaltarlo nel favoloso. Re Brenno è diventato Rombo di Tuono perché l'iperbole si addiceva ai suoi prodigi di atleta. Considerando lavoro, dunque sofferenza, il gioco del calcio, mai si e lagnato del proprio dolore fisico. Due volte ha offerto quel che aveva di più necessario nel suo mestiere (per mera auto?ironia precisavano i suoi agiografi che aveva dato due gambe alla patria pedatoria). Ora parole grosse non vorrei dirne, esattamente come piace a lui: però non esistono nello sport altri esempi di dedizione pagata a cosi caro prezzo. Ed è sempre risorto obbedendo a una volontà che doveva anche dare sgomento ai troppi pusilli italiani. Non basta dire che l'aiutava l'agonismo a evadere dal suo difficile passato di privazioni. In effetti eravamo in presenza dell'eroe. Non commuovi un pastore accennando a gesti solamente vezzosi; non incanti a parole il vecchio incallito uomo di sport.

In Italia, dove tanto scarseggia, sul coraggio si preferirebbe scivolare con discrezione di comodo. Nossignori, che dobbiamo distinguere l'uomo dal piccolo barlafuso imbroglione, l'atleta che conosce il sacrificio generoso dal furbo fregnoncino capace di fingere e infinocchiare! Certi spettacoli di calcio, in Italia, rasentano il fescennino burlesco, talché si potrebbe dire che a nobilitarli sia soltanto la ferocia dei meno bravi, il loro disperato e impietoso "struggle for life". Ma quando Rombo di Tuono distendeva le sue poderose falcate, nessun gesto poteva mai scadere a parodia agonistica. La qualità del suo lavoro appariva rozza soltanto agli incompetenti. In realtà la esaltava uno slancio irresistibile, un tempo raffinatissimo, un senso dell'impatto quale pochi possedevano al mondo. Ho visto io Sivori strizzare gli occhietti furbi e consolare lo smargiasso che era in lui garantendo che con quelle botte si sarebbe squinternate le gambe: Rombo di Tuono esplodeva saette cogliendo al volo dal limite i lunghi traversoni di Domenghini e altri dall'ala: colpito in pieno collo, il pallone schiattava letteralmente fra i pali.

Incompreso da tutti che non l'avessero già visto e conosciuto in Sardegna, Rombo di Tuono perdette un mondiale che per altri portò anche vergogna. Gli invidi abatini lo ignorarono il giorno della prova decisiva per averlo forse capito fin troppo. Al ritorno da Durham s'impose per nostro totale scorno di spregiatori gabbati e resipiscenti. Come un antico eroe, ebbe finalmente l'apoteosi per fatiche non indegne ? disi mi ? della leggenda erculea: batte il vento Scirocco, maligno figlio di Eolo, africano di nascita, molle persuasore delle nostre secolari fiacche mediterranee: supero l'ambigua ninfa Paura, costante abitatrice dei nostri cieli; cavalco le nuvole per discenderne come un eroe (Lohengrin genannt) di miti un po' meno labili dei nostri...

Nessuno sa la disperata impotenza dell'atleta che il mite clima delle sirene avvolge e deprime; nessuno la maledetta fifa che ti rode mentre con viso altero o distaccato compi l'innaturale e traumatica funzione del volo: se l'anima esiste, si abbotta come uno stinco percosso con la punta d'uno scarpone. Non basta: per Rombo di Tuono si trovò compiutamente italiana ? anzi campione! ? una terra che non lo era mai stata se non nel sacrificio cruento, nei ripetuti massacri della guerra. Gli inviti al ritorno non ebbero più eco se non nel suo dispetto di isolano per elezione. Visse giornate radiose e altre persino umilianti. Il suo destino tragico ne annullava le gioie proprio nei giorni riservati ai trionfi.

In Messico lo colse l'atroce stanchezza di anni vissuti nell'esaltazione ma soprattutto nel sacrificio. L'altura ne spossava i muscoli troppo forti. Un amore cercato per sopravvivere alle fatiche del campionato già vinto finì di intristirne gli umori. Soltanto nel finale ebbe modo di riscattarsi. E quando fu di ritorno senti magnificare altri che non ne aveva i meriti. Guarì della stanchezza e della passione di donna applicandosi con l'orgoglio del campione ormai consacrato. Perdette quota con la società che aveva preteso troppo da lui e dall'isola. Ebbe una nuova frattura. Seppe rinascere. Ebbe uno strappo nella gamba d'appoggio, la destra, quando si annunciarono i nuovi mondiali. Naufragò con gli altri e praticamente chiuse.

Tentò di rinascere un'ennesima volta e il miracolo pareva già riuscito ancora. L'ha poi stroncato il destino. "No me dejas veerlo", implorava Garcia per Ignacio riverso nel suo sangue. Io vorrei solo che degli eroi autentici non si guastasse mai il ricordo. L'uomo Riva è un serio esempio per tutti. Il giocatore chiamato Rombo di Tuono è stato rapito in cielo, come tocca agli eroi. Ne può discendere solo per prodigio: purtroppo la giovinezza, che ai prodigi dispone e prepara, ahi, giovinezza è spenta.

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Messaggio  franco Dom 2 Dic - 23:32

Gaetano Scirea

Classe esemplare

25 maggio 1953
3 settembre 1989





36
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Due cose ci fanno ricordare questo grande calciatore morto alla giovane età di 36 anni: la sua capacità di dare una definizione originale e totalmente inedita del ruolo di libero e il suo fair play.


Il Gaetano Scirea calciatore è agile: si muove in avanti con grazia ed eleganza e aiuta il centrocampo nelle manovre difensive, senza sdegnare azioni di disturbo e appoggi sapienti. Il suo è uno stile che va al sodo: avvia l'azione da dietro e segna gol importanti grazie anche alla tecnica ambidestra.


Il fair play e l'estremo rispetto per l'avversario sono dimostrati dal fatto che nella sua lunga carriera non è mai stato ammonito né espulso. Un record bello e importante, che si ricorda con piacere, in anni in cui il calcio sembra essere contraddistinto solo da tanta violenza e incomprensioni.


Gaetano Scirea nasce a Cernusco sul Naviglio in provincia di Milano il 25 maggio 1953 e inizia la sua carriera calcistica nel 1972: giocherà nell'Atalanta, nella Juventus e diventerà il perno insostituibile della Nazionale di Bearzot, con la quale vincerà la coppa del mondo nel 1982.


Ma non è solo questo il prezioso riconoscimento che Gaetano Scirea avrà modo di stringere tra le sue mani: dopo due stagioni in serie A con l'Atalanta, approda alla Juventus nella stagione 1974/1975 dove vince in 11 anni tutto il possibile: scudetti, coppe europee, la coppa Intercontinentale.


Il 1975 lo vede vincitore del primo dei 7 scudetti con la Juventus e alle prese con l'esordio in nazionale: il 30 dicembre si gioca Italia-Grecia, finita 3 a 2 per gli azzurri. Nel 1977 c'è l'accoppiata campionato-Coppa UEFA, nel 1978 il terzo scudetto che precede la partenza per l'Argentina dove si disputeranno i mondiali; del 1979 è invece la coppa Italia. Compagni e protagonisti di questo periodo d'oro, in uno dei più potenti schieramenti difensivi che la storia ricordi, sono Gentile, Cabrini, Furino e Brio.


Nel 1981 arriva il quarto scudetto con una Juve pigliatutto ed è anche la vigilia del secondo mondiale: sono anni densi di partite e di vittorie e Gaetano Scirea è nel pieno della sua maturità atletica e calcistica.


Il 1982 è il più glorioso per il calciatore, perché è in questo anno che mette a segno con la maglia bianco-nera il quinto scudetto e vince la coppa del mondo. Ma non finisce qui. Gli anni 1984 e 1986 segnano altri due scudetti e nel 1985 è la volta della coppa Intercontinentale, vinta a Tokyo battendo ai rigori l'Argentinos Juniors. Non vanno dimenticate la coppa Italia del 1983 e, sempre nel 1986, la coppa delle coppe e la supercoppa europea.


Giocherà con la Juventus fino al 1988. La sua ultima partita in nazionale ai mondiali è del 17 giugno 1986, in Messico.


Alcuni numeri del grande calciatore: vincitore di 14 titoli, autore di 32 gol, disputa nella sua carriera con la Juventus ben 552 incontri. Il record di presenze in bianconero verrà superato nel 2008 da Alessandro Del Piero, il quale avrà modo di dichiarare: "Raggiungere Scirea nelle presenze è un traguardo che mi inorgoglisce sotto tanti aspetti. È un numero importantissimo, ma la mia speranza è di entrare nel cuore della gente come è entrato lui. Ogni tanto rifletto su come potrebbero vedermi i ragazzi, i bambini. Forse mi vedono come io vedevo lui, Gaetano Scirea, e i campioni come lui. Li guardavo con rispetto, avevo la voglia di emularli, lo sognavo. La gioia di giocare nella Juventus, in nazionale, ad alti livelli. Vincere tanto, vincere i mondiali. Sono riuscito ad ottenere molte di queste cose, l'ho fatto con la passione, con l'umiltà. Mi farebbe piacere che in futuro mi vedessero con gli stessi occhi con cui io guardo lui. Questo è un mio obiettivo, un traguardo".
franco
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